#9 LA PIAZZA DEI BOOKLOVERS

L’Arminuta

Donatella Di Pietrantonio

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“Ripetevo la parola mamma cento volte, finché perdeva ogni senso ed era solo una ginnastica delle labbra. Restavo orfana di due madri viventi. Una mi aveva ceduta con il suo latte ancora sulla lingua, l’altra mi aveva restituita a tredici anni. Ero figlia di separazioni, parentele false o taciute, distanze. Non sapevo più da chi provenivo”

…per me questo capoverso è la fotografia del libro L’Arminuta. L’abbandono e lo strappo sono gli stati d’animo ricorrenti nel libro di Donatella Di Pietrantonio.

Con questo romanzo l’autrice ha vinto il Premio Campiello 2017. Lei, dentista di professione, è scrittrice da sempre, da quando in lei, bambina e poi ragazzina cresciuta tra le montagne abruzzesi, nacque la passione per la scrittura che non l’ha abbandonata fino alla pubblicazione dei suoi tre romanzi.

Trama

Nella sua terza opera, L’Arminuta, “la Ritornata” in dialetto abruzzese, la scrittrice racconta la storia di una ragazzina che, un giorno, viene portata dalla sua famiglia in un’altra famiglia. Una famiglia che non conosce né ha mai frequentato, ma che scoprirà essere la sua famiglia originaria. Quella che l’ha cresciuta fino ad allora non può più tenerla con sé: la ragazzina è convinta che sua madre – quella che lei pensava essere sua madre – sia malata e non possa più accudirla.

Da un giorno all’altro la protagonista  viene catapultata da un padre e una madre a un altro padre e un’altra madre, dapprima figlia unica scopre di avere dei fratelli e  delle sorelle, abbandona la vita di città per cominciarne una campagna, passando improvvisamente dal benessere alla povertà.

Per fortuna che nella nuova casa incontra Adriana, quella che scoprirà essere sua sorella minore, e Vincenzo, che la tratta con rispetto a differenza degli altri fratelli, anche se è spesso assente da casa. La ragazzina è brava a scuola e, quindi, quando passa alle superiori, torna a vivere in città: non nella “vecchia” famiglia, ma in un’altra ancora che la ospita. Lì, passo dopo passo, scoprirà la verità, e non le resterà che legarsi ancora di più ai nuovi affetti…

 

Recensione

Una ragazzina senza nome l’Arminuta, in più di 150 pagine, infatti, questo personaggio non viene mai nominato, nessuno la chiama, nessuno la invoca, sembra quasi incredibile che in un romanzo si riesca a mantenere un personaggio senza nome, ma la Di Pietrantonio ci riesce benissimo, quasi a voler rafforzare in chi legge l’idea dell’abbandono e dello smarrimento. L’Arminuta potrebbe essere quella ragazzina della copertina del libro e quasi non importa conoscere il nome, il lettore si cala presto nel ritmo del romanzo e si immerge in quel mondo dell’Italia degli anni ‘60 e ‘70 in cui non erano rare le storie come quelle dell’Arminuta.

Proprio come le montagne, tanto care alla Di Pietrantonio, la trama è aspra e dura,  ma la scrittura è immediata, potente come un tuono e catartica come un acquazzone estivo: la storia di una ragazzina che subisce l’abbandono e lo subisce due volte, ma sa trovare la capacità di reagire e di costruire la sua identità.

La maternità e la famiglia sono i temi al centro del romanzo e la scrittrice li indaga nel profondo facendo venire fuori due mondi e due famiglie diversi ma una sofferenza comune. Il rapporto basilare dell’esistenza, madre-figlia, viene a disintegrarsi e si svuota di ogni senso. Le due figure sono due estranee che vivono sotto lo stesso tetto, come accade in Accabadora di Michela Murgia. Ma se all’inizio il ritorno a casa sa di abbandono, presto si trasforma in possibilità, in capacità di reinventarsi seppur a soli 13 anni.

 

Autore: Donatella Di Pietrantonio

Editore: Einaudi 

Collana: Supercoralli

Anno di pubblicazione: 2017

Pagine: 162

Genere: Romanzo

ETA’ DI LETTURA CONSIGLIATA: 18+

 

Citazioni

“Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. È un vuoto persistente, che conosco ma non supero. Gira la testa a guardarci dentro. Un paesaggio desolato che di notte toglie il sonno e fabbrica incubi nel poco che lascia. La sola madre che non ho mai perduto è quella delle mie paure.” 

 

“Mia sorella. Come un fiore improbabile, cresciuto su un piccolo grumo di terra attaccato alla roccia. Da lei ho appreso la resistenza. Ora ci somigliamo meno nei tratti, ma è lo stesso il senso che troviamo in questo essere gettate nel mondo. Nella complicità ci siamo salvate.” 

P. S.

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