IL BURATTINAIO
Francesco Barbi
Metamorfosi tra fantasy e noir
TRAMA
L’Oracolo, sopravvissuto sette volte al Tocco della Luce, ha predetto la caduta del Regno di Olm. L’Arconte Ossor, uno dei pochi che ancora credono nel potere del chiaroveggente, torna a consultarlo e si convince che l’imminente catastrofe sia in qualche modo legata alla scomparsa del mostro di Giloc, precipitato quattro anni prima, in circostanze alquanto misteriose, sul fondo di un crepaccio nelle lontane Terre di Confine. Un manipolo di Guardiani dell’Equilibrio, inquisitori incaricati di reprimere ogni forma di eresia e stregoneria, parte da Olm per far luce sulla vicenda. È il loro capo, l’Indice, a sovrintendere alle operazioni per la riesumazione del mostro e a condurre le indagini circa la comparsa di un presunto stregone nel vicino paese di Tilos. Schiavo della spinavera e spietato, raccoglie voci e dicerie, interroga e tortura i paesani per scoprire l’identità e la dimora di colui che cerca. Fiuta e segue le tracce dell’acchiapparatti di nome Zaccaria fino a Ombroreggia, dove lo cattura e lo rinchiude in un gabbiotto di ferro per condurlo a Olm. Ma Zaccaria “ospita” in sé un terribile segreto. Ci sono giorni in cui il gobbo parla attraverso di lui. Ci sono giorni in cui è un terzo ad abitarlo…
RECENSIONE
Francesco Barbi, con “Il burattinaio”, racconta il secondo capitolo di un romanzo fantasy, con forti tinte noir e pseudostoriche.
Riprende con efficacia la trama della storia narrata nel primo libro della saga “L’acchiapparatti”, riproponendo personaggi già noti e aggiungendone di nuovi antropomorfi, buoni e cattivi, deturpati, squilibrati e misteriosi.
Il romanzo si sviluppa in scenari lugubri e foschi, i paesaggi descritti nella trama non sono quasi mai irradiati dalla luce del sole. Il lettore ha la netta sensazione di viaggiare in territori eternamente coperti dalla nebbia, intrisi di umidità e di pioggia, coperti da paludi ristagnanti circondate da boschi fitti di vegetazione e alberi.
Barbi ha costruito sapientemente uno scenario che si ispira sia al genere fantasy che al noir, e con forti tratti pseudostorici. Infatti, in molti passaggi del libro sembra palesemente di trovarsi in un mondo di epoca medievale, con castelli fortificati, torri e torrioni, eserciti e soldati in armatura, armi di ferro forgiate a mano nel fuoco.
La storia ruota intorno a gruppi di personaggi che si muovono simultaneamente nei luoghi del racconto ed è resa avvincente da Barbi attraverso una trama articolata e complessa, che non anticipa nulla e non è mai scontata. Solo al termine della storia i pezzi del puzzle si ricompongono illustrando chiaramente lo scenario finale, con vittime, carnefici e sopravvissuti.
Il burattinaio non è facilmente riconoscibile, ogni personaggio potrebbe esserlo poiché non ci sono elementi distintivi che permettano di individuare con assoluta certezza l’architetto che muove le pedine con saggezza per raggiungere il suo personalissimo obiettivo.
Per questo la storia è avvincente e non delude e/o annoia il lettore nel susseguirsi delle vicende. Il lettore, per questo motivo, non può permettersi distrazioni e lungaggini nei tempi della lettura, poiché rischierebbe di perdere il filo degli eventi e dei suoi personaggi.
Da leggere tutto d’un fiato!
Autore: Francesco Barbi
Editore: Dalai Editore
Pagine: 525
Anno di prima pubblicazione: 2011
Genere: Romanzo fantasy
Età lettura consigliata: 18+
CITAZIONI
“Si chinò di nuovo. Il disco era lì, nel primo cassetto. Lo prese, si accostò al portone, lo inserì nell’incavo e gli fece compiere un giro completo. Lo scatto della serratura, il sibilo dell’aria che filtrava dallo spiraglio. Con cautela, tirò a sé il portone. Era molto pesante e i cardini non dovevano essere stati ingrassati di recente. La corrente d’aria si riversò nel tunnel. Aleb strinse i lacci al collo della veste e si accorse in ritardo che l’Arconte gli stava comunicando qualcosa.”
“Partirono all’alba. I quattro Guardiani dell’Equilibrio, Fulciero, Tamarkus e i suoi tirapiedi. I deboli raggi solari non avevano ancora diradato la foschia della notte quando lasciarono il fossato di Tilos. Raggiunsero la radura a lato della via dove il giorno prima aveva lasciato gli incappucciati col carro.
I Guardiani dell’Equilibrio si equipaggiarono. Indossarono pesanti cotte di maglia, elmi con celata, bracciali e schinieri. Sostituirono le corte mazze ferrate con i mazzafrusto e legarono dardi e balestre alle selle.”
“La situazione stava sfuggendo loro di mano. Il capo dei confinieri e quell’energumeno grasso avevano portato via Frida e gli altri sembravano tutto fuorché intenzionati ad andare a dormire. Guia era sobria e lucida, ma forse sarebbe stato meglio se avesse bevuto almeno un po’ di vino, pensò adesso, presa dall’ansia. Si erano ficcate in una rogna più brutta di quanto avesse previsto, o sperato. Forse avrebbero fatto meglio a non riempire la borraccia di spinavera. O quantomeno a non versarcene così tanta.”
“Le grida degli uomini, lo squittire dei topi, lo zampettare dei loro piccoli artigli che graffiavano il legno, il fremere convulso della moltitudine d’ali, colpi e tonfi.
I ratti affollavano il gabbiotto, gli si intrufolavano tra le gambe, gli si arrampicavano addosso.”.”
“Come faremo durante l’inverno?
Quella domanda lo assillava da qualche giorno. Guardò in direzione della struttura di pietra che un tempo aveva ospitato gli spalti d’onore delle Arene. Tende, tende, e ancora tende. E tra le tende uomini, cani, pecore e galline. L’accampamento ferveva di attività. Donne ai pentoloni, vecchi che macellavano la carne, uomini carichi di sacchi, bambini con gli otri d’acqua che si muovevano sui viottoli di ghiaia tra i teloni. Sempre più rifugiati. Sempre più tende. All’inizio le Arene erano parse enormi, adesso perfino i gradoni erano coperti di tappeti e stuoie. Cateno aggrottò la fronte, scosse la testa.
Come diamine faremo durante l’inverno?”