#75 LA PIAZZA DEI BOOKLOVERS

Bruno Tognolini

MAL DI PANCIA CALABRONE

Formule magiche per tutti i giorni

TRAMA

E il mal di pancia se ne va. Nel libro ci sono cinquanta formule magiche: funzionano tutte, ancora meglio se le canti. Fanno accadere le cose belle e cacciano via quelle noiose. Allora i calzettoni non scendono più, i compleanni arrivano in fretta, i semafori diventano subito verdi, le supposte e le iniezioni non danno più fastidio. Ma attento: le formule magiche vanno usate solo quand’è necessario e non tutte in una volta. C’è il rischio che al semaforo venga sonno, la supposta diventi verde e i brutti sogni si annidino tra i capelli. 

RECENSIONE

Reduce da un incontro con l’autore, da una bellissima mattinata con tanti bambini e tante bambine in una scuola primaria, vi presento questo libricino per grandi e piccini, da tenere – come impresso nella dedica – sul comodino.

La filastrocca come rimedio, la filastrocca come magia. Leggete una volta, poi chiudete gli occhi e ascoltate col cuore, assaporate le parole di Bruno Tognolini, maestro di rime.

Una raccolta di filastrocche, alcune delle tante che ormai da anni l’autore scrive, recita, vive.

Mal di pancia calabrone contiene 50 filastrocche che riescono a far accadere qualcosa, filastrocche in forma di incantesimi per ogni occasione. Questo libro, infatti, può essere utilizzato come “medicina” per i vari problemi di tutti i giorni, rendendoli meno pesanti…soprattutto per i piccoli e le piccole.

Un trattato di “magia” divertente e simpatico per aiutarci a vivere il quotidiano con un pizzico di ironia e fantasia. Basta una formula magica per stare bene? Potrebbe se è una filastrocca. Chi ha avuto il piacere di conoscere, ascoltare e ammirare Tognolini in platee di grandi e piccini sa di cosa parlo: una rima dietro l’altra, un gioco di parole e musica nel ritmo dei versi e, come dice il poeta, le filastrocche funzionano se quando le reciti la tua bocca è felice di recitarle e fanno stare bene te e chi ascolta.

Un libro da regalare, leggere, recitare e custodire come antidoto ai mal di pancia anche dell’età adulta che, ahimè, spesso sanno essere terribili.

Autore: Bruno Tognolini/Illustratrice: Giulia Orecchia
Editore: Nord-Sud Edizioni 
Pagine: 54
Anno di prima pubblicazione: 2019
Genere: Letteratura per l’infanzia
Età lettura consigliata: 5+

#74 LA PIAZZA DEI BOOKLOVERS

Roberto Saviano

GRIDALO

“Chi è libero non parla a bassa voce”

TRAMA

Un uomo si ferma di fronte alla scuola che ha frequentato a sedici anni e vede uscire il ragazzo che è stato, quello che ancora ha un futuro tutto da immaginare. L’uomo sa che quel ragazzo è solo, e il suo cammino non sarà facile. Vorrebbe poterlo aiutare, ma non gli è concesso. Può però radunare intorno a lui dei compagni di viaggio che lo guidino, che lo facciano sentire meno solo, perché i nostri destini individuali compongono, insieme, l’unica grande avventura della storia umana. Ipazia, Giordano Bruno, Anna Achmatova, Robert Capa, Jean Seberg, Martin Luther King, Francesca Cabrini sono solo alcuni di questi compagni, ma ci sono anche personaggi sorprendenti come Hulk Hogan, Joseph Goebbels, George Floyd, due giovani italiani costretti a emigrare… Donne e uomini le cui storie – a saperle leggere con l’accanimento del reporter d’inchiesta, con la visione potente dello scrittore – svelano dinamiche nascoste, pericolose, e pongono domande ineludibili. La competizione feroce, la sensazione di essere ridotti a consumatori manipolati dagli algoritmi, una propaganda bugiarda e invasiva: davvero questo è il solo mondo possibile? E perché quando qualcuno alza la voce per ottenere giustizia c’è sempre chi insinua che lo faccia per tornaconto personale, chi lo mette in ridicolo mostrandone le contraddizioni? No: non occorre essere santi per lottare. Le contraddizioni, le debolezze non ci fermano come non hanno fermato le donne e gli uomini che popolano queste pagine. Questo libro è una mappa fatta di storie, che non vogliono insegnarci niente, tanto meno a non sbagliare. Ma una cosa la pretendono: aprirci gli occhi. Al ragazzo fuori da scuola, a tutti i ragazzi vogliono raccontare come le loro madri, i loro padri, i loro fratelli maggiori sono caduti e si sono rialzati. Agli adulti vogliono ancora scaldare il sangue, restituire la voglia d’indignarsi, di ritrovare la rabbia giovane. (Il testo è accompagnato da alcune illustrazioni di Alessandro Baronciani.)

RECENSIONE

Roberto Saviano ha deciso di sorprendere il pubblico attraverso questo saggio trasversale, per personaggi ed epoche trattate, colpendo direttamente alla pancia del lettore senza edulcorare ed orpellare il racconto dei fatti esposti.

Trenta sono i personaggi ed altrettante le loro storie, così personali e al tempo stesso generalizzate, perché ognuno di noi potrebbe vivere, o ha già vissuto, storie simili con ingiustizie più o meno gravi.

L’excursus del libro permette al lettore di vivere in prima persona fatti e racconti dei protagonisti che potrebbero sembrare distanti per cultura ed epoca, ma che in realtà mostrano un’estrema vicinanza, a chiunque si accinga a leggerle, per la semplice, ma mai scontata, condivisione dei diritti umani e naturali che appartengono ad ogni essere vivente su questo pianeta.

L’autore ha l’obiettivo dichiarato, fin dalla premessa in “Mappa”, di esporre fatti e racconti per come sono stati riportati dai giornalisti, dai documenti delle procedure giudiziarie e da documenti tecnici, senza incidere troppo con il proprio punto di vista soggettivo e personale.

È palesemente chiaro che il metodo utilizzato non possa prescindere totalmente dal punto di vista di chi scrive, ma il lavoro eccezionale di Saviano è racchiuso nella capacità intrinseca di far prevalere comunque e ad ogni costo la realtà dei fatti in nome della “verità umana” che accomuna gli uomini e le donne del pianeta Terra.

Perché di “verità” si tratta e si espone in questo saggio; verità intesa come capacità e incapacità dell’essere umano di rendere giustizia ad alcuni ed ingiustizia brutale e terribile ad altri. Questo è tanto più vero quanto è più trasversale ed eterogenea la sua applicazione in epoche, in contesti e culture differenti.

“Gridalo” è la sintesi del bisogno e della necessità di dire, di parlare, di protestare, di risollevarsi, di non abbattersi, di resistere, di risalire, di ricominciare, di credere negli altri anche quando la disperazione prevale su tutto.

I 30 personaggi, analizzati da Saviano, aiutano il lettore a riflettere sulla fragilità e sulla forza degli esseri umani, su ciò che sono in grado di fare nel bene e nel male e quanto siano disposti a mettersi in gioco per un principio o per un valore.

Attenzione: non si tratta di moralismo o di lezioni di vita. In questo libro si parla delle vite delle persone e delle loro vicissitudini senza mai cascare nell’arroganza moralizzatrice di chi crede di avere le soluzioni per risolvere tutti i problemi della vita.

Saviano ha scritto e ha pubblicato Gridalo nel 2020, in piena pandemia da Covid-19, a dimostrazione della necessità non più trascurabile di farci riflettere profondamente sull’essenza dei diritti naturali degli esseri viventi, e della loro tutela, da difendere ad ogni costo.

A parere di chi scrive, questo libro è un utile strumento di studio ed approfondimento per i ragazzi e le ragazze che si cimentano ad affrontare il percorso di studi della scuola secondaria di secondo grado.

Autore: Roberto Saviano

Editore: Bompiani Overlook

Pagine: 512 p., Brossura

Anno di prima pubblicazione: 2020

Genere: Saggistica narrativa

Età lettura consigliata: 14 +

CITAZIONI

“C’era qualcosa che doveva arrivare prima, prima degli arresti, dei pestaggi, delle ingiustizie, dei processi, della diffamazione: la scuola. La scuola era il vero collo di bottiglia della segregazione. Quelle dei neri infatti erano le peggiori scuole del Paese. Le aule rimanevano vuote troppo spesso, perché la mattina a casa non c’era nessuno a svegliare quei bambini, nessuno a preparargli la colazione, nessuno a ricordargli quanto fosse importante studiare. Le loro madri a quell’ora erano già fuori, in altre case, a preparare altre colazioni per altri bambini. Colpa dei bambini bianchi? Certo che no, quei bambini non potevano sapere che stavano rubando carezze e incoraggiamento ad altri bambini. Quei bambini erano un puro prodotto dalla Storia, come tutti noi.”

“Hai in mente il tuo manuale di storia? Quello che apri per prepararti per l’interrogazione? Magari la materia ti piace, o forse lo consideri uno dei tanti libri che rendono pesante il tuo zaino. Ecco, in ogni caso, tieni a mente che per quel che riguarda il presente tu puoi cambiare il prossimo capitolo, quello della storia che sta per essere scritta.”

“Ecco, mentre il Pubblico Ministero mi chiama al banco dei testimoni, ho ben chiaro in mente cosa mi avesse colpito degli scambi tra stormfrontisti: il fatto che chiamassero Settimia Spizzichino, sopravvissuta ad Auschwitz, “olomiracolata”. Era un attributo che usavano di continuo sulla loro piattaforma, proprio negli stessi giorni in cui attaccavano me. Questo neologismo mi aveva disgustato e, sentendolo pronunciare di nuovo in aula, mi ricorda finalmente cosa fu a muovermi, a spingermi a sporgere querela. Fu proprio quella parola: olomiracolata.”

Bear Krustowsky

#73 LA PIAZZA DEI BOOLOVERS

Jhumpa Lahiri

IN ALTRE PAROLE

TRAMA

Questa è la storia di un colpo di fulmine, di un lungo corteggiamento, di una passione profonda: quella di una scrittrice per una lingua straniera. Jhumpa Lahiri è una giovane neolaureata quando visita per la prima volta Firenze; appena sente parlare l’italiano capisce che le è stranamente familiare, che le è necessario e deve apprenderlo. Non sa spiegarsi il perché di un simile, repentino bisogno, ma sa che farà di tutto per soddisfarlo. Dapprima prova a studiare l’italiano nella sua città, New York, con una serie di insegnanti private, ma non basta. Anche le brevi visite successive, a Mantova, Milano, Venezia, non la appagano: vuole immergersi completamente nella realtà della nuova lingua. Si trasferisce a Roma, con tutta la famiglia. E lì comincia la vera avventura, fatta di slanci, entusiasmo e insieme di difficoltà ed estraniamento. In altre parole è il primo libro che nasce direttamente in italiano da un’autrice di madrelingua bengalese che ha sempre parlato e scritto in inglese. È la testimonianza di un tenace percorso di scoperta e di apprendimento e di un obiettivo, raggiunto, di potenza e fluidità espressiva, ancora più preziosa perché conserva tra le righe l’eco affascinante di una distanza, quella che sempre ci separa dall’oggetto d’amore: la distanza impercettibile e infinita del desiderio.

RECENSIONE

Le vicende personali della vita di Jhumpa Lahiri colpiscono per la complessità di esperienze linguistiche e culturali: nata a Londra da genitori bengalesi e cresciuta negli Stati Uniti, ha vissuto a New York dove ha studiato, specializzandosi, Inglese, Scrittura creativa e Letteratura comparata presso la Boston University. Conseguito il dottorato in Studi rinascimentali, inizia a insegnare scrittura creativa presso diverse università americane di prestigio. Attualmente insegna al Barnard College della Columbia University ma ha fatto ormai dal 2012 di Roma la sua città di adozione tanto da vivere tra l’Italia e New York e da considerare l’italiano una delle sue lingue. Premio Pulitzer nel 2000 per L’interprete dei malanni, insignita da Obama nel 2015 della National Humanties Medal, Lahiri si appassiona alla lingua e alla cultura italiana affermando che l’italiano è la lingua “della creatività, dei sogni, la chiave che apre la porta”. La lingua che con la sua alternanza di tempi verbali al passato fa concludere a Lahiri: “mi identifico con l’imperfetto perché un senso d’imperfezione ha segnato la mia vita. Sto provando da sempre a migliorarmi, a correggermi, perché mi sono sempre sentita una persona difettosa”.

In altre parole (2015), una selezione dei racconti scritti per la prima volta in lingua italiana per la rivista Internazionale, si configura come un saggio fortemente autobiografico. “Ormai da dieci anni scrivo in italiano. Un italiano in cui tutt’ora mi sento sia a casa, radicata, sia fuori luogo. C’è questa doppia realtà che secondo me mi fa molto bene”. La serie di racconti (o di pagine di diario?) che si susseguono pagina dopo pagina, scardinando così l’impostazione che tradizionalmente ci si aspetterebbe dalla scrittura saggistica, ci guida lungo un percorso in cui vita, letteratura, lingua e traduzione si intrecciano senza appesantire la prosa e tanto da rendere la lettura accessibile non solo a coloro che di lingue, culture e loro rispettive mediazioni si occupano per mestiere (dai linguisti ai traduttori, dagli insegnanti agli scrittori) ma anche ai ‘non addetti’ che con facilità riconosceranno, simpatizzando, talvolta solidarizzando, elementi e tracce di vissuto personale, del rapporto con la lingua nativa e con le lingue seconde che inevitabilmente si incontrano lungo il proprio percorso di vita professionale e non, al di là della relazione più o meno costante e duratura che con esse si può stabilire. Un rapporto controverso, in cui il labile confine tra lingua e cultura tende a non essere più distinguibile.

In altre parole è un diario sofferto, affascinante, incalzante, nel quale Jhumpa Lahiri si mette a nudo e trova nella scrittura, ricca di metafore, la possibilità di scoprire nuove dimensioni della sua multiforme identità, tra passato, con i suoi ricordi infantili, a volte onirici, sensi di colpa e timori irrisolti; e presente con i suoi desideri e aspirazioni più forti, da parlante e da traduttrice. Per i lettori e le lettrici italiani, In altre parole è anche uno specchio in cui riconoscersi e riapprezzare la lingua italiana di cui Lahiri elogia non solo la bellezza e l’unicità, ma anche la capacità espressiva. L’italiano è qui l’oggetto d’amore raggiunto ma allo stesso tempo lo si riconosce come un irraggiungibile possesso, nel senso di una perdurante e ineludibile impossibilità di conoscere e usare la lingua farebbe un native speaker. Il nodo che si presenta costantemente nel libro è, infatti, la tensione – comune a molti – fra il desiderio fortissimo di apprendere una lingua, in questo caso l’amatissimo italiano, e la frustrante consapevolezza di non poterlo parlare e scrivere come un madrelingua farebbe.

Autrice: Jhumpa Lahiri

Editore: Guanda

Pagine: 144

Anno di prima pubblicazione: 2015

Genere: Saggistica narrativa

Età di lettura: 18+

CITAZIONI

“Mi vergognavo di parlare bengalese e al tempo stesso mi vergognavo di provare vergogna. Non era possibile parlare in inglese senza avvertire un distacco dai miei genitori, senza avvertire una sensazione inquietante di separazione.”

“Dava fastidio anche a me se i miei pronunciavano una parola in inglese in modo sbagliato. Li correggevo, impertinente. Non volevo che fossero vulnerabili. Non mi piaceva il mio vantaggio, il loro svantaggio. Avrei voluto che parlassero l’inglese come me.
Ho dovuto giostrarmi tra queste due lingue finché, a circa venticinque anni, non ho scoperto l’italiano.”

“In America, quando ero giovane, i miei genitori mi parevano sempre in lutto per qualcosa. Ora capisco: doveva essere la lingua. Quarant’anni fa non era facile, per loro, sentire le famiglie al telefono. Aspettavano la posta. Non vedevano l’ora che arrivasse una lettera da Calcutta, scritta in bengalese. La leggevano cento volte, la conservavano. Quelle lettere rievocavano la loro lingua e rendevano presente una vita scomparsa. Quando la vita con cui ci si identifica è lontana, si fa di tutto per tenerla viva. Perché le parole riportano tutto: il luogo, la gente, la vita, le strade, la luce, il cielo, i fiori, i rumori. Quando si vive senza la propria lingua ci si sente senza peso, e allo stesso tempo, sovraccarichi.”

“Devo togliere la parola scorretta o sbagliata e cercarne un’altra. Non posso difendere la mia scelta: non si può contraddire un madrelingua. Devo accettare che in italiano sono parzialmente sorda e cieca, per cui temo di essere una scrittrice spuria.”

#72 LA PIAZZA DEI BOOKLOVERS

Angela Marsons

Thriller contemporaneo in salsa inglese

TRAMA

Il testo che si recensisce è una raccolta dei primi tre romanzi scritti dall’autrice inglese Angela Marsons. Pertanto, l’opinione di chi scrive si è basata sull’analisi trasversale dello stile adottato dalla scrittrice nei tre testi.

Urla nel silenzio

Cinque persone si trovano intorno a una fossa. A turno, ognuna di loro è costretta a scavare per dare sepoltura a un cadavere. Ma si tratta di una buca piccola: il corpo non è quello di un adulto. Una vita innocente è stata sacrificata per siglare un oscuro patto di sangue. E il segreto che lega i presenti è destinato a essere sepolto sottoterra. Anni dopo, la direttrice di una scuola viene brutalmente assassinata: è solo il primo di una serie di agghiaccianti delitti che terrorizzano la regione della Black Country, in Inghilterra. Il compito di seguire e fermare questa orribile scia di sangue viene affidato alla detective Kim Stone. Quando però nel corso delle indagini tornano alla luce anche i resti di un altro corpo sepolto molto tempo prima, Kim capisce che le radici del male vanno cercate nel passato e che per fermare il killer una volta per tutte dovrà confrontarsi con i propri demoni personali, che ha tenuto rinchiusi troppo a lungo.

Il gioco del male

Quando viene rinvenuto il cadavere di uno stupratore, la detective Kim Stone e il suo team sono chiamati a investigare. Sembra un semplice caso di vendetta personale, ma l’omicidio è solo il primo di una serie di delitti che via via diventano più cruenti. È evidente che dietro tutto questo c’è qualcuno con un piano preciso da realizzare. Mentre le indagini si fanno sempre più frenetiche, Kim si ritrova nel mirino di un individuo spietato e deciso a mettere in atto il proprio progetto criminale, a qualunque costo. Contro un sociopatico che sembra conoscere ogni sua debolezza, la detective Stone si rende conto che ogni mossa potrebbe esserle letale. E così, mentre il numero delle vittime continua a crescere, Kim dovrà considerare ogni minima traccia, perché con un avversario del genere anche la più remota pista va percorsa per fermare il massacro. E questa volta è una questione personale.

La ragazza scomparsa

Charlie e Amy, due bambine di soli nove anni, compagne di gioco, scompaiono all’improvviso. Un messaggio recapitato alle rispettive famiglie conferma l’ipotesi peggiore: le giovani sono state rapite. È l’inizio di un incubo. Poco tempo dopo, un secondo messaggio è ancora più mostruoso. I malviventi mettono le due famiglie l’una contro l’altra, minacciando di uccidere una delle due bambine. Per la detective Kim Stone e la sua squadra il caso è più difficile del solito. I rapitori potrebbero davvero trasformarsi in assassini spietati. Bisogna agire con rapidità e trovare la pista giusta. E Kim ha intuito che nel passato delle due famiglie si nascondono degli oscuri segreti.


RECENSIONE

Angela Marsons, autrice britannica che ha venduto in pochissimi anni oltre 4 milioni di copie, è la creatrice del personaggio e detective Kim Stone. Intorno a questo personaggio, Angela ha costruito i suoi successi da autrice, a partire dal 2015. Infatti, nonostante sia una fervente scrittrice appassionata fin dall’infanzia, è riuscita a fare pubblicare le prime opere soltanto pochi anni fa. Nonostante tutto, il talento della sua penna è immediatamente apprezzabile dalla lettura delle primissime pagine dei suoi libri.

La sua scrittura è fluida e fresca, come probabilmente lo sono i suoi pensieri durante la creazione dei personaggi e delle loro storie. Ha una forte propensione per l’aspetto psicologico ed introspettivo dei personaggi che animano le sue storie e questo espediente narrativo, rende la lettura più profonda e psicologica in un’atmosfera da thrilling già vivace.

I primi tre romanzi contenuti nella raccolta qui proposta rappresentano un percorso di crescita che la scrittrice ha maturato insieme ai suoi personaggi. La detective Kim Stone, giovane e tormentata poliziotta, è sempre immersa nel proprio lavoro, che svolge con ostinata determinazione alla ricerca dei colpevoli di casi efferati di omicidio e di violenza. Le uniche pause, che si concede solo quando è necessario, sono le nottate passate a riparare e a ricostruire le motociclette in garage, ascoltando musica classica. In realtà l’insonnia perpetua non le concede tregua, tranne che per un paio d’ore prima dell’alba. I tre romanzi sono sapientemente strutturati alla Marsons per svelare piano e con moderazione i tratti distintivi dei caratteri dei suoi personaggi, iniziando proprio dalla protagonista, e delle loro storie personali.

La scoperta centellinata delle loro vite personali permette di assaporare con calma e delicatezza l’evoluzione dei ruoli all’interno delle storie, lasciando in sospeso a macerare ogni ipotetica evoluzione e scoperta delle caratteristiche più intime di ognuno di loro.

Il tormento interiore della detective è direttamente proporzionale all’alto livello di competenza e di intuito che dimostra in ogni indagine che la vede protagonista. I casi proposti sono complessi ed articolati, sia per il numero di persone coinvolte che per la quantità di fatti e misfatti che si celano dietro ai misteri da risolvere.

Anche la squadra della detective è un elemento portante della struttura dei romanzi della Marsons; ogni componente ha competenze ed esperienze specifiche ed eterogenee, così come lo sono le loro private.

In modo particolare spicca la personalità del vice Bryant, il quale con ironia fraterna stimola, all’occorrenza, o tranquillizza la determinazione e la caparbietà, a volte ostinata, della detective.

Altro fondamentale pilastro dello stile della Marsons è l’ambientazione dei romanzi nel territorio della tranquilla e misteriosa campagna della Black Country inglese. L’atmosfera della provincia inglese contribuisce in maniera determinante ad aumentare la suspence delle storie e a creare il clima perfetto per un thriller doc.

Le tre storie, ognuna con il suo mistero, trasmettono al lettore un senso contrastante e permeante di pace ed inquietudine che, alimentandosi nel corso della lettura, porta ad un’immersione totale nei suoi intrighi e nelle sue verità. Ma qual è e cos’è la verità celata in queste storie? Sta a voi scoprirlo…

Autrice: Angela Marsons

Editore: Newton Compton Editori

Pagine: 864 p., Brossura

Anno di prima pubblicazione: 2019

Genere: Romanzo thriller

Età lettura consigliata: 18 +

CITAZIONI

 “Mentre si dirigevano verso Lye, Kim guardava fuori dal finestrino, incapace di scacciare dalla sua mente l’immagine di una ragazzina quindicenne che strisciava per terra stringendosi il piede ferito, nel tentaivo di sfuggire al colpo mortale di una lama. Il fatto che i primi due colpi avessero lacerato carne, muscoli e cartilagine fino a raggiungere l’osso, senza però risultare fatali, la faceva star male”

“Kim imprecò sotto voce. Quella stupida era talmente intenta a mortificarsi da non prendere nemmeno in considerazione l’ipotesi di non essere l’unica colpevole. Aveva consacrato la propria vita al pentimento, e non avrebbe cambiato idea. Kim tornò alla macchina, con la certezza di averci visto giusto: Alex era stata determinante per innescare la reazione. Aveva manipolato Ruth. Quello che non capiva era il perchè”

“Kim si scrollò di dosso quei pensieri. Avventurarsi nella sua mente era come giocare a saltare le mine. Se il gioco durava troppo a lungo, c’era il rischio di finire ridotta in poltiglia.

Detestava ammetterlo, ma le parole di Karen le avevano dato sui nervi. Il suo ritratto dell’amore materno non poteva essere più lontano da ciò che aveva vissuto. La devozione assoluta di cui parlava le era sconosciuta. Non aveva un termine di paragone, per questo non poteva comprendere. Fra lei e sua madre non c’era stato nessun legame magico. Kim era troppo impegnata a salvare la propria vita e quella del fratello.”

Bear Krustowsky

#71 LA PIAZZA DEI BOOKLOVERS

Khaled Hosseini

MILLE SPLENDIDI SOLI

TRAMA

A quindici anni, Mariam non è mai stata a Herat. Dalla sua “kolba” di legno in cima alla collina, osserva i minareti in lontananza e attende con ansia l’arrivo del giovedì, il giorno in cui il padre le fa visita e le parla di poeti e giardini meravigliosi, di razzi che atterrano sulla luna e dei film che proietta nel suo cinema. Mariam vorrebbe avere le ali per raggiungere la casa del padre, dove lui non la porterà mai perché Mariam è una “harami”, una bastarda, e sarebbe un’umiliazione per le sue tre mogli e i dieci figli legittimi ospitarla sotto lo stesso tetto. Vorrebbe anche andare a scuola, ma sarebbe inutile, le dice sua madre, come lucidare una sputacchiera. L’unica cosa che deve imparare è la sopportazione. Laila è nata a Kabul la notte della rivoluzione, nell’aprile del 1978. Aveva solo due anni quando i suoi fratelli si sono arruolati nella jihad. Per questo, il giorno del loro funerale, le è difficile piangere. Per Laila, il vero fratello è Tariq, il bambino dei vicini, che ha perso una gamba su una mina antiuomo ma sa difenderla dai dispetti dei coetanei; il compagno di giochi che le insegna le parolacce in pashtu e ogni sera le dà la buonanotte con segnali luminosi dalla finestra. Mariam e Laila non potrebbero essere più diverse, ma la guerra le farà incontrare in modo imprevedibile. Dall’intreccio di due destini, una storia che ripercorre la storia di un paese in cerca di pace, dove l’amicizia e l’amore sembrano ancora l’unica salvezza.

RECENSIONE

Oggi vi voglio parlare di un libro pubblicato 15 anni fa ma che racconta una storia senza tempo e di grande attualità. Mille splendidi soli è il secondo romanzo dello scrittore americano, di origine afghana, Khaled Hosseini, autore del precedente bestseller “Il cacciatore di aquiloni”. La trama del libro è complessa e appassionante, intreccia le vite di due donne che conducono due esistenze completamente differenti, fino a quando non sono costrette a condividere lo stesso tetto e lo stesso uomo.

Mille splendidi soli riesce a trasmettere al lettore la paura e la vergogna ma anche la speranza che le cose possano migliorare fino ad arrivare al riconoscimento dei diritti della donna in un paese come l’Afghanistan. Un romanzo che tocca dal profondo l’animo umano tanto coinvolgente e crudo da far sentire sulla pelle i colpi delle fustigazioni e le offese ma anche speranzoso verso la possibilità di un cambiamento. Hosseini non solo presenta Laila e Mariam come l’una l’opposta dell’altra ma ci fornisce informazioni significative anche sugli uomini afghani, fortunatamente non tutti uguali, Rashid e Tariq, infatti, sono profondamente diversi: crudele e iracondo il primo, dolce e sensibile il secondo.

Con questo libro si entra in un mondo sconosciuto e in una concezione della donna che non può lasciare indifferenti. Hosseini mostra una straordinaria sensibilità nel raccontare una storia tutta al femminile, simbolo della dura realtà delle donne in quel Paese, sottomesse alla volontà maschile e maschilista e private dei più basilari diritti. Una pagina che purtroppo si sta riscrivendo da diversi mesi in Iran come in Afghanistan.

Leggendo questo libro ci si sente pervasi da un forte senso di rabbia, di frustrazione, di impotenza verso un modo dominato da soli uomini e divorato dalle guerre. E questo accade ancor di più se si pensa a quanto reali siano gli argomenti toccati.  Un libro drammatico, ma anche dolce e poetico, con protagoniste due donne coraggiose capaci di sopportare grandi sofferenze e in cui, nonostante tutto, la speranza accompagna fino alla fine.

Autore: Khaled Hosseini
Editore: Piemme 
Pagine: 432
Anno di prima pubblicazione: 2007
Genere: Romanzo
Età lettura consigliata: 18 +

CITAZIONI

“Una società non ha nessuna possibilità di progredire se le sue donne sono ignoranti.”

“Il solo nemico che l’Afghanistan non può sconfiggere è se stesso.”

“Non si possono contare le lune che brillano sui suoi tetti, né i mille splendidi soli che si nascondono dietro i suoi muri.”

PS

#70 LA PIAZZA DEI BOOKLOVERS

Luisa Staffieri

MAMMA NATALE

ovvero l’importanza di nascere donna

TRAMA

Cosa succederebbe se Babbo Natale improvvisamente si ammalasse la notte di Natale poco prima di cominciare il suo giro per la consegna dei regali ai bambini e alle bambine di tutto il mondo? Nulla perché con rapidità e perizia prenderebbe il suo posto Mamma Natale…

In questa ultima recensione del 2022, a differenza delle altre volte, non voglio svelare qualche dettaglio in più della trama del simpatico ed ironico racconto natalizio di Luisa Staffieri in cui le protagoniste sono Mamma Natale e una nuova super slitta.

Vi consiglio, invece, di sedervi su un tappeto o su un grande divano insieme a bambini e bambine e di immergervi nella dolcezza di questo libretto edito da Mammeonline.

RECENSIONE

Vi siete mai chiesto cosa cambierebbe se al posto di Babbo Natale a consegnare i doni fosse Mamma Natale? Immagino di no! Ma, secondo me, non cambierebbe nulla, o forse tutto. Nulla perché una Mamma Natale sarebbe perfettamente in grado di svolgere quel compito, tutto perché metterebbe nel suo lavoro le caratteristiche del genere femminile.

Siamo stati da sempre abituati e continuiamo ad abituare bambini e bambine alla figura di Babbo Natale; nell’immaginario comune, infatti, solo quell’omone vestito di rosso e con la lunga barba bianca può occuparsi di accontentare i fanciulli, ma in realtà avrebbe potuto essere anche Mamma Natale ad occuparsi dei doni senza essere meno capace.

Questo racconto divertente e leggero affronta il tema della differenza di genere: chi l’ha detto che Babbo Natale non possa essere sostituito da una donna? Esistono attività e mestieri da donna e attività e mestieri da uomo? Differenza di genere vuol dire poter fare le stesse cose ma in maniera diversa, l’importante è fare ciò che ci piace.

Mamma Natale è un libro per affrontare in modo spiritoso con i bambini e le bambine la questione degli stereotipi di genere e per capire e ragionare sul fatto che ognuno di noi ha pregi e difetti e che il modo migliore, a volte, è riderci un po’ su. Un buon modo per iniziare a parlare di argomenti di attualità e essenziali nella formazione e nella crescita di piccoli e piccole.

Buona lettura e serene Feste di fine anno!

Autrice: Luisa Staffieri
Editore: Mammeonline
Pagine: 36
Anno di prima pubblicazione: 2012
Genere: Narrativa per l’infanzia
Età lettura consigliata: 6+

CITAZIONI

Quell’anno era avvenuto il grande cambiamento. Babbo Natale (lasciatosi un po’ troppo condizionare dai suoi amici che lo schernivano spesso) aveva preso la grande decisione: avrebbe sostituito la mitica slitta trainata dalle sue amiche renne con l’ultimo esclusivo modello, appena uscito sul mercato, di slitta monovolume turbo jet VAR93.

Ma Babbo cominciò a sbottonarsi la giubba e a salire le scale, si infilò la camicia e si avviò per le scale, deciso a seppellirsi al caldo delle coperte.
Allora Mamma comprese che avrebbe dovuto fare qualcosa per correre ai ripari:
– Uomini!!!! Gran bella invenzione! – non poté fare a meno di dire.

Prima di salire a bordo della turboslitta, Mamma Natale aveva preso confidenza con i vari comandi. Leggendo con attenzione il libretto di istruzioni. Aveva visionato l’interno e si era resa conto che era davvero molto spaziosa, al che le era balenata nella mente un’idea che tra sé e sé aveva subito approvato…

#69 LA PIAZZA DEI BOOKLOVERS

MARCEL PROUST

Il 18 novembre 1922, esattamente cento anni fa, moriva uno dei più importanti scrittori di tutti i tempi: 

Valentin Louis Georges Eugène Marcel Proust.

Figlio dell’alta borghesia parigina (la madre era la figlia di un ricco agente di cambio mentre il padre era rinomato medico), nasce il 10 luglio 1871 ad Auteil, alla periferia di Parigi. L’infanzia dello scrittore si svolge prevalentemente nella capitale francese, con ben poche concessioni alla fuga dalla città, se non durante il periodo estivo. E niente come questi momenti di svago potevano essere salutari al piccolo Marcel, affaticato da una salute malferma e fragile, oppresso dalla più tenera età da problemi respiratori. A ciò si aggiunga una non comune sensibilità interiore, subito colta dall’altrettanto sensibile madre (con cui Marcel instaurò un legame quasi morboso), che lo rendeva schivo e solitario, a dispetto del fratello Robert, certamente più solare e aperto.

Iscrittosi ad uno dei migliori licei della capitale, Marcel ha modo di entrare in stretto contattato con alcuni coetanei, rampolli delle famiglie-bene parigine, fra le quali si possono annoverare nomi di importanti politici del tempo. L’impatto per certi versi è positivo e con alcuni compagni stringe una sincera e duratura amicizia. D’altronde, è proprio al liceo che Proust, accanto alla vocazione letteraria, scopre il gusto, tutto letterario anch’esso, di entrare nei salotti parigini, rivelando una innata propensione alla vita di società ed una straordinaria capacità di affascinare quell’uditorio, magari un po’ frivolo, che di volta in volta si trovava ad affrontare.

I primi frutti dell’attività letteraria di Proust arrivano nel 1892, quando si inserisce come collaboratore nella rivista “Le Banquest”, fondata da un gruppo di amici, tra cui Jacques Bizet, Daniel Halévy, Robert Dreyfus e Leon Blum. Sono gli anni, fra l’altro, in cui scoppia il caso Dreyfus, il capitano ebreo arrestato con l’accusa di spionaggio e complicità con la Germania, un vero e proprio caso di linciaggio moderno a mezzo stampa. Proust, agli occhi della Storia, ha l’onore di essere fra quelli che difesero, oltretutto con grande energia, lo sfortunato capitano.

Nel 1896 esce il primo libro dello scrittore “I piaceri e i giorni”; si tratta di una raccolta di novelle; allo stesso tempo, però, si dedica anche alla stesura di un grande romanzo, rimasto incompiuto “Jean Santeuil”, vero e proprio canovaccio per la successiva, gigantesca, “Recherche”. Parallelamente a tutto ciò, non dimentica la prediletta pratica della critica letteraria, svolta con acume e gusto imepccabili.

Lo scoppio della prima guerra mondiale, nell’agosto del 1914, coinvolge e sconvolge il mondo e le amicizie di Proust; alcune delle persone a lui care muoiono al fronte; il fratello Robert è in prima linea come medico e rischia la vita in più di un frangente. A Parigi, Proust continua a lavorare al suo romanzo, apparentemente estraneo e indifferente alla tragedia che lo circonda, su cui invece lascerà delle pagine stupende ne “Il tempo ritrovato”. Da qui in poi, la vita sempre più segregata e solitaria di Proust sembra scandita solo dal ritmo della sua opera. I vari volumi escono con regolarità, accolti con attenzione dalla critica.

Proust, sempre più isolato, sta terminando la revisione definitiva della “Prigioniera” quando, nell’ottobre del 1922, si ammala di bronchite. Rifiutando qualsiasi assistenza medica, a dispetto delle insistenze del fratello Robert, cerca di resistere agli attacchi della malattia, particolarmente violenti e acuiti dall’asma, e continua la stesura della “Fuggitiva”, che riuscirà a portare a termine. Si spegne a Parigi il 18 novembre 1922.

ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO 

(À la recherche du temps perdu) 1909-1922

L’opera è suddivisa in sette volumi:

  • Dalla parte di Swann (1913)
  • All’ombra delle fanciulle in fiore (premio Goncourt, 1919)
  • I Guermantes (1920)
  • Sodoma e Gomorra (1921-1922)
  • La prigioniera (1923)
  • La fuggitiva o anche Albertine scomparsa (1925)
  • Il tempo ritrovato (1927)

In Dalla parte di Swann Proust ha inserito un vero e proprio “romanzo nel romanzo” con il titolo Un amore di Swann.

SINOSSI

Prima parte: La strada di Swann (1913) – Du côté de chez Swann
– in alcune traduzioni Dalla parte di Swann
Marcel, protagonista e narratore, assecondando fortuite associazioni della memoria, rievoca l’atmosfera di Combray, cittadina di provincia dove ha trascorso molte estati della sua infanzia negli anni 1883-92. Riemergono la figura della madre, della nonna, della zia Leonia e le lunghe passeggiate fino ai possedi-menti dei duchi di Guermantes, lontani e quasi irreali, o lungo la strada che porta dagli Swann. Qui in una casa circondata da un giardino straordinario in un’atmosfera quasi fiabesca vive Swann con la deliziosa Gilberte, primo amore di Marcel. Gilberte è figlia della ex cocotte Odette de Crécy e di Swann che l’ha sposata, scandalizzando la migliore società parigina.

Seconda parte: Un amore di Swann
– Con un salto temporale all’indietro (1877-78) e spaziale (Parigi) si racconta la violenta passione esasperata della gelosia di Swann per Odette. Lo sfondo è il salotto dei Verdurin, ricchi borghesi con aspirazioni intellettuali.

All’ombra delle fanciulle in fiore (1919) – À l’ombre des jeunes filles en fleurs
– Marcel racconta la sua adolescenza parigina, l’incontro con lo scrittore Bergotte e l’attrice Berma (1893-95). Durante l’estate si reca con la nonna a Balbec, grande spiaggia alla moda sulle coste della Normandìa, e qui conosce il giovane Robert de Saint-Loup, imparentato con i Guermantes, e suo zio il barone Charlus. Spenta ormai l’infatuazione per Gilberte fa amicizia con le “fanciulle in fiore” Andrée, Rosamonde e la bellissima Albertine Simonet (1887).

Guermantes (1920) – Le côté de Guermantes
Spesso tradotto La strada dei Guermantes – A Parigi Marcel, che lo ha lungamente desiderato, è finalmente introdotto nel mondo dei Guermantes, l’aristocratico mondo del Faubourg Saint-Germain. Conosciuto da vicino questo ambiente si rivela mediocre, privo di quell’aura fiabesca di cui l’aveva rivestito l’immaginazione, un mondo dove malignità e pettegolezzi s’intrecciano a discussioni di letteratura e politica. S’innamora della duchessa di Guermantes. Conosce la giovane attrice Rachel, amata da Robert e frequenta il salotto di Mme de Villeparis. Muore la nonna.

Sodoma e Gomorra (1921-1922) – Sodome et Gomorrhe
– Marcel rievoca il fascino e le ambiguità del mondo dell’aristocrazia parigina, testimoniandone la disgregazione. Apprende che Charlus è omosessuale e narra le vicende dell’amore di Charlus per il violinista Morel. In seguito ad un ritorno a Balbec l’amicizia per Albertine si trasforma in un’intensa passione, nonostante sospetti che anch’essa sia moralmente corrotta. Quando viene a sapere che Albertine ha avuto rapporti omosessuali con Mile Vinteuil decide di riportarla a Parigi (1887-1900).

La prigioniera (1923, postumo) – La prisonnière
– Albertine e Marcel vivono insieme a Parigi. Vittima di una morbosa gelosia, Marcel tiene Albertine quasi segregata in casa. La ragazza ha comunque una sua vita su cui Marcel cerca d’indagare. Il sospetto ch’ella ami le donne, le menzogne e le scenate di gelosia rendono la convivenza impossibile.

Albertine scomparsa (o La fuggitiva, 1925, postumo) – La fugitive o Albertine disparue
– Albertine fugge e muore per una caduta da cavallo. Marcel sprofonda in una dolorosa sofferenza fatta di ricordi da cui a fatica riesce a liberarsi, anche perché l’immaginazione alimenta una gelosia postuma. Ma il tempo cancella tutto e dopo un soggiorno a Venezia Marcel s’innamora di una giovane che scopre essere Gilberte. Questa sposa Saint-Loup.

Il tempo ritrovato (1927, postumo) – Le temps retrouvé
– Scoppia la prima guerra mondiale e nella Parigi bombardata l’ascesa degli arrivisti non ha limiti e Mme Verdurin, esempio di volgare snobismo, diviene principessa di Guermantes. Ritornato a Parigi, dopo alcuni soggiorni in una casa di cura, Marcel ritrova gli amici del passato quasi irriconoscibili per l’opera devastatrice del tempo. Durante un ricevimento a casa dei Guermantes circostanze fortuite destano in lui un vivo ricordo del passato, che gli procura sensazioni d’improvvisa felicità. Guidato da questa memoria involontaria Marcel decide di scrivere per ritrovare se stesso e il tempo perduto. La letteratura, che egli aveva considerato sin dalla giovinezza meta della sua esistenza, di-venta luogo privilegiato nel quale dare senso alla propria vita salvandola dell’oblio.

Collocata tra i più grandi capolavori universali della letteratura, oltre ad essere – a oggi – l’impresa letteraria più corposa al mondo, l’opera permette a Proust di ripercorre la propria vita e il tempo passato, cercando di riportarlo a sé attraverso il narrarne le tappe. Quello che più chiaramente emerge nel suo pensiero sono due tipi di memoria – strumento necessario a ritrovare il tempo perduto: quella volontaria e quella spontanea. Alla prima, si attinge riesumando ricordi, compiendo collegamenti, ragionando. La seconda è quella che in realtà ci restituisce vecchie sensazioni attraverso nuove sensazioni. Ovvero, un profumo, un sapore, possono riportarci indietro nel tempo facendoci rivivere qualcosa mediante i sensi, appunto.

Un’opera senza dubbio impegnativa, enciclopedica, immensa; un viaggio difficile che molti di noi hanno iniziato a compiere da giovanissimi lettori e lettrici, proprio perché l’Autore è inserito nel canone della letteratura mondiale, comparabile agli immensi e contemporanei James Joyce e Thomas Mann. Un linguaggio complesso, minuzioso e raffinato, una trama articolata e a tratti informe.

Eppure, con una lettura paziente, ci si accorge che Proust parla direttamente al lettore, non gli fornisce solo insegnamenti, conoscenze, rielaborazioni concettuali. Comunica con il pubblico che sa intercettare il suo ritmo, con disposizione d’animo e sensibilità.  Un ritmo a lui proprio, quello del pensiero, della memoria, dell’intimità. Un ininterrotto flusso di coscienza e un irrefrenabile gusto per la ricerca, per la scoperta.

NON SOLO MADELEINE…

E poco dopo, sentendomi triste per la giornata cupa e la prospettiva di un domani doloroso, portai macchinalmente alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato inzuppare un pezzetto di madeleine. Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me. Un delizioso piacere m’aveva invaso, isolato, senza nozione di causa. E subito, m’aveva reso indifferenti le vicessitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita…non mi sentivo più mediocre, contingente, mortale. Da dove m’era potuta venire quella gioia violenta? Sentivo che era connessa col gusto del tè e della madeleine. Ma lo superava infinitamente, non doveva essere della stessa natura. Da dove veniva? Che senso aveva? Dove fermarla? (Dalla parte di Swann)

Vidi gli alberi allontanarsi agitando disperatamente le braccia, come se dicessero: Quello che non riesci a sapere da noi oggi, non lo saprai mai più. Se ci lasci ripiombare in fondo alla strada dalla quale cercavamo di issarci fino a te, tutta una parte di te stesso che noi ti stavano portando cadrà per sempre nel nulla. […] ero triste come se avessi perduto un amico e fossi morto io stesso, come se avessi rinnegato un morto o, imbattutomi in un dio, non l’avessi riconosciuto. (All’ombra delle fanciulle in fiore)

Ogni lettore, quando legge, legge sé stesso. L’opera dello scrittore è soltanto uno strumento ottico da offrire al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in sé stesso . (Il tempo ritrovato)

Si ama solo ciò che non si possiede del tutto. (La prigioniera)

Una delle più recenti edizioni integrali:

Editore: Newton Compton Editori

Collana: Grandi tascabili economici. I mammut

Anno edizione: 2020

Pagine: 2608 

#68 LA PIAZZA DEI BOOKLOVERS

Marco Amerighi

RANDAGI

TRAMA

A Pisa, in un appartamento zeppo di quadri e strumenti musicali affacciato sulla Torre pendente, Pietro Benati aspetta di scomparire. A quanto dice sua madre, sulla loro famiglia grava una maledizione: prima o poi tutti i Benati maschi tagliano la corda e Pietro – ultimogenito fifone e senza qualità – non farà eccezione. Il primo era stato il nonno, disperso durante la guerra in Etiopia e rimpatriato l’anno dopo con disonore. Il secondo, nel 1988, quello scommettitore incallito del padre, Berto, tornato a casa dopo un mese senza il mignolo della mano destra. Quando uno scandalo travolge la famiglia, Pietro si convince che il suo turno è alle porte. Invece a svanire nel nulla è suo fratello maggiore Tommaso, promessa del calcio, genio della matematica e unico punto di riferimento di Pietro; a cui invece, ancora una volta, non accade un bel niente. Per quanto impegno metta nella carriera musicale, nell’università o con le ragazze, per quanto cambi città e nazione, per quanto cerchi di tagliare i ponti con quel truffatore del padre o quella ipocondriaca della madre, la sua vita resta un indecifrabile susseguirsi di fallimenti e delusioni. Almeno finché non incontra due creature raminghe e confuse come lui: Laurent, un gigolò con il pallino delle nuotate notturne e l’alcol, e Dora, un’appassionata di film horror con un dolore opposto al suo. E, accanto a loro, finalmente Pietro si accende. Con una trama ricca di personaggi sgangherati e commoventi, e una voce in grado di rinnovare linguaggi e stili senza rinunciare al calore della tradizione, “Randagi” è un romanzo sulla giovinezza e su quei fragilissimi legami nati per caso che nascondono il potere di cambiare le nostre vite. Un affresco che restituisce tutta la complessità di una generazione: ferita, delusa e sradicata dal mondo, ma non ancora disposta a darsi per vinta.

RECENSIONE

Randagi è una storia in cui si muovono e finiscono per intrecciarsi diversi personaggi molto diversi tra loro e le loro vicende personali; ognuno di loro è in fondo un po’ irrisolto e alla ricerca di qualcosa o qualcuno, di una spiegazione o di un senso. C’è Pietro, che si sente in trappola e allo stesso tempo per niente degno dello spazio che gli è dato di occupare; ci sono Tommaso e Laurent, che agli occhi degli altri sembrano perfetti, ma che non fanno altro che cacciarsi nei guai o fallire solo per sentirsi di nuovo vivi; c’è Dora, che si mostra forte e sprezzante, eppure non sa come arginare quello spietato senso di colpa che la divora.

Questo libro può essere contemporaneamente considerato un romanzo di formazione, una storia d’amore, un romanzo generazionale nel quale l’autore si è soffermato sul rapporto genitori-figli e sul disagio giovanile contemporaneo. Il lettore non può restare indifferente di fronte al malessere che emerge prepotentemente nel libro e con difficoltà supera l’idea che tra genitori e figli sia possibile tanta distanza e tanta incomprensione.

Per i randagi, nulla può considerarsi acquisito una volta per tutte, ogni strada intrapresa non è quella giusta o quella davvero voluta. I randagi, in un mondo in cui è sempre più difficile trovare un posto, sono costretti a procedere per tentativi, cambiano spesso direzione all’improvviso, tornano sui loro passi e ricominciano.

Pietro Benati rappresenta bene questa inquietudine e questo smarrimento, è in perenne lotta per restare a galla e non commettere gli stessi errori dei suoi familiari. Lo vediamo spostarsi di luogo e cambiare direzione spesso nel corso della sua giovane vita nel tentativo di affermare se stesso, nel desiderio intimo e profondo di definirsi come essere umano al di là del legame di sangue, al di là del passato. Questa è l’essenza della storia di Pietro e di tutti coloro che gli graviteranno intorno, anche dei suoi lettori.

Randagi è un libro scritto in maniera molto semplice ma comunque interessante, leggerlo è piacevole ed intrigante, nonché fonte di riflessione.

Autore: Marco Amerighi
Editore: Bollati Boringhieri
Pagine: 400
Anno di prima pubblicazione: 2019
Genere: Romanzo
Età lettura consigliata: 18 +

CITAZIONI

“E pensò, anzi si augurò, era pur sempre l’ultima notte dell’anno, che non fosse lontano il giorno in cui le nuvole all’orizzonte si sarebbero schiuse e allora sarebbe stata soltanto luce.”

“Non hai mai l’impressione che sia tutto scritto e che l’unica cosa che ci resta da fare sia avanzare sui binari che qualcun altro ha costruito per noi?
A me capita così spesso che certe volte non capisco se sono io a vivere la mia vita o qualcun altro.”

Trovava insopportabile l’idea di scomparire. Su un ponte panoramico o tra le braccia di una sconosciuta, in un campo di battaglia o davanti a un motel per commessi viaggiatori, tutti i maschi della sua famiglia, prima o poi, tagliavano la corda; solo lui non riusciva a farsene una ragione. Possibile che nel loro sangue si tramandasse un gene che li obbligava a dileguarsi? “

#67 LA PIAZZA DEI BOOKLOVERS

George Orwell

1984

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“Qual è la realtà? Chi controlla chi?”

TRAMA

È in questo celeberrimo romanzo che diventa espressione comune “Big Brother”, simbolo e sinonimo di un potere dittatoriale interessato al controllo totalitario dei sudditi. 1984 è l’ultima opera di Orwell (fu pubblicato nel 1949; l’autore sarebbe morto nel gennaio del 1950) e il suo classico per eccellenza. Romanzo distopico, vede la storia di una società futuristica e disumanizzata, rigidamente divisa in classi e dominata da un’ideologia perversa che sovverte i valori basilari della civilizzazione, come anche i cardini della comunicazione, primo tra tutti il linguaggio. È, paradossalmente, sia una visione apocalittica dell’evoluzione del socialismo agli occhi di un autore anarchico, sia una feroce critica di tutti i capitalismi, colpevoli di proporre propagandisticamente visioni distorte della realtà.

RECENSIONE

1984 è l’ultima opera pubblicata da George Orwell e probabilmente rappresenta il simbolo eterno del suo lavoro di pensatore, autore e scrittore. Questo romanzo è stato inserito di diritto tra le opere letterarie del Novecento e dell’epoca contemporanea.
L’attualità del messaggio è impressionante: l’autore conduce il lettore attraverso il labirinto di una società totalmente inventata, frutto della sua creatività, che richiama costantemente ed inevitabilmente gli orrori del suo tempo, legati alle atrocità delle due guerre mondiali e dei regimi totalitari della prima metà del Novecento.
Il pensiero profondo e brillante di Orwell accompagna il lettore in ogni riga del suo testo, offrendo un’immagine dettagliata ed evoluta dell’essere umano del prossimo futuro (nel 1984 e oltre), il quale inevitabilmente, secondo l’autore, non potrà sottrarsi ai mali delle guerre (sempre più gravi e minacciose) e alle crisi economiche e delle risorse di sussistenza che ne scaturiranno.
In buona parte della storia, il protagonista Winston è continuamente assoggettato al controllo di una figura misteriosa (una persona? Un essere virtuale?) che viene chiamato Big Brother, colui che vede e sente tutto, sul posto di lavoro come nelle abitazioni private e negli spazi pubblici aperti.
In questo senso, a parere di chi scrive, Orwell è riuscito ad intravedere, probabilmente in maniera molto tragica e catastrofica, la realtà che attualmente viviamo in questo secolo. Ciò chiaramente non vuol dire che le nostre società siano controllate da “Big Brother”, ma è palesemente evidente che molte delle nostre azioni, spesso involontariamente, siano controllate da dispositivi elettronici governati da algoritmi abbastanza sofisticati che hanno il compito di pilotare le nostre scelte di acquisto personali.
Sicuramente Orwell, quando nel 1948 si accingeva a scrivere la sua opera, non poteva immaginare il destino che sarebbe spettato al genere umano nel nuovo millennio. Ad ogni modo, credo che la sua immagine filosofica fosse talmente attuale e visionaria da aver anticipato di qualche decennio la composizione della struttura e lo sviluppo delle dinamiche di funzionamento delle società attuali.
Winston in questo contesto sociale si sente intrappolato ed è convinto che come lui ci siano altri esseri umani nella stessa condizione di disagio psicologico e di sofferenza continua. Il controllo esercitato dal Big Brother è totale, tanto da indurre Winston ad avere paura dei suoi stessi pensieri che potrebbero causargli l’internamento, la tortura e la morte.
Nonostante tutto, Winston non demorde e dimostra che la forza dell’essere umano sta nella capacità di adattarsi ad ogni contesto e situazione e, quando tutti i fattori in gioco lo permettono, di provare a cambiare seppur minimamente lo status quo.
Orwell ha voluto dimostrare che l’essere umano, anche nelle situazioni più tragiche e irrecuperabili, è in grado di affermare la propria umanità e la propria superiorità intellettiva per puro istinto di sopravvivenza o per amore di conservazione del genere umano.
Questo sarà possibile farlo fino alla fine dei nostri giorni? Solo chi ci succederà potrà dirlo. Noi saremo ormai storia.

Autore: George Orwell
Editore: Newton Compton Editori
Pagine: 384
Anno di prima pubblicazione: 1949
Genere: Romanzo
Età lettura consigliata: 18 +

“In fin dei conti, come facciamo a sapere che due più due fa quattro? O che la forza di gravità esiste davvero? O che il passato è immutabile? Che cosa succede, se il passato e il mondo esterno esistono solo nella vostra mente e la vostra mente è sotto controllo”

“Confessare non è tradire. Non importa quello che dici o non dici, ciò che conta sono i sentimenti. Se riuscissero a fare in modo che io non ti ami più… quello sarebbe tradire”

“Tu pensi che la realtà sia qualcosa di oggettivo, di esterno, qualcosa che abbia un’esistenza autonoma. Credi anche che la natura della realtà sia di per se stessa evidente. Quando inganni te stesso e pensi di vedere qualcosa, tu presumi che tutti gli altri vedano quello che vedi tu. Ma io ti dico, Winston, che la realtà non è qualcosa di esterno, la realtà esiste solo nella mente, in nessun altro luogo.”

Bear Krustowsky

#66 LA PIAZZA DEI BOOKLOVERS

Mario Desiati

SPATRIATI

TRAMA

Claudia è solitaria ma sicura di sé, stravagante, si veste da uomo. Francesco è acceso e frenato da una fede dogmatica e al tempo stesso incerta. Lei lo provoca: lo sai che tua madre e mio padre sono amanti? Ma negli occhi di quel ragazzo remissivo intravede una scintilla in cui si riconosce. Da quel momento non si lasciano più. A Claudia però la provincia sta stretta, fugge appena può, prima Londra, poi Milano e infine Berlino, la capitale europea della trasgressione; Francesco resta fermo e scava dentro di sé. Diventano adulti insieme, in un gioco simbiotico di allontanamento e rincorsa, in cui finiscono sempre per ritrovarsi. Claudia entra nella vita di Francesco in una mattina di sole, nell’atrio della scuola: è una folgorazione, la nascita di un desiderio tutto nuovo, che è soprattutto desiderio di vita. Cresceranno insieme, bisticciando come l’acqua e il fuoco, divergenti e inquieti. Lei spavalda, capelli rossi e cravatta, sempre in fuga, lui schivo ma bruciato dalla curiosità erotica. Sono due spatriati, irregolari, o semplicemente giovani.

RECENSIONE

Spatriati, dal dialetto di Martina Franca spatrièt, emigrati. Ma anche disorientati, inadeguati, sbagliati, mancati. Sono questi Claudia e Francesco, spatriati per cercarsi. Per capire chi si è, per scoprire l’infinita gamma di sé possibili che si possono abbracciare, è necessario lasciare il posto sicuro in cui si è cresciuti per entrare in un mondo ben più grande.  Francesco e Claudia: acqua e fuoco, pioggia e fulmini, freddo e caldo. Due personalità che più differenti non potrebbero essere, eppure, allo stesso tempo, intimamente affini; entrambi vengono considerati due irrisolti, inclassificabili, balordi, vagabondi e, probabilmente, dei liberati. Mario Desiati ci aveva già raccontato delle contraddizioni dell’animo umano e delle difficoltà di essere completamente liberi dai condizionamenti del proprio mondo di appartenenza in Ternitti e Il paese delle spose infelici e con questo libro ha vinto il Premio Strega 2022. Spatriati può essere tante cose: un romanzo di formazione, la storia di un’amicizia, un viaggio a tappe verso il Nord (prima Milano, poi Berlino), il ritratto di una generazione di espatriati che mescola l’emigrazione con la ricerca identitaria e con la scoperta di orientamenti sessuali alternativi, ma anche il riconoscimento nostalgico della difficoltà di lasciarsi alle spalle la provincia da cui si è partiti, quel Sud immobilista, ruvido e poetico in cui inizia la vicenda. Nel libro ritroviamo i conflitti, le indecisioni, le andate e i ritorni dei trentenni e dei quarantenni di oggi, una generazione di “giovani” la cui emigrazione, spogliata dell’epica e dall’ambizione di altre emigrazioni, nondimeno è un processo delicato, ambiguo. Per Francesco e per Claudia spatriare significa conquistare spazi di libertà e insieme allentare, senza mai sciogliere del tutto il legame con quei luoghi dai quali “non si può andar via senza graffi”.

Autore: Mario Desiati
Editore: Einaudi
Pagine: 288
Anno di pubblicazione: 2021
Genere: Narrativa italiana
Età lettura consigliata: 18 +

CITAZIONI

“A Martina quando vogliono sapere chi sei ti domandano schioccando le dita: “Come ti metti?”; quel metti include discendenza, appartenenza, stato e obiettivi, il modo di stare nello spazio e nel tempo, come ci mettiamo nella vita, col ginocchio piegato, pronti a scappare o a saltare”

“Prima di Claudia, la realtà era quella che ti raccontavano e non quella che vedevo. facevo parte del novero di quelli che si lasciano spingere dagli altri, dagli eventi, dalle prescrizioni, dai pregiudizi. I coniugi Veleno mi spingevano verso una vita senza smottamenti, tranquilla, il minimo necessario per non soffrire. A loro, in fondo, era andata bene così”

“[…] io non respiro qui. Voglio stare dove succedono le cose, e qui non succede niente, non imparo niente”

PS