
“E dimmi come posso fare
per raggiungerti adesso”
Maurizio è andato via.
Sono giorni, settimane, che poi saranno mesi e poi anni, che siamo arrabbiate con lui.
Come tutte le altre volte in cui qualcosa di storto era successo, una parola fuori posto, un gesto sgarbato, ma ogni volta sarebbe bastato poco per rimettere tutto a posto. E al solito finivamo per scoppiare in una risata. Quella risata rauca, a volte esagerata. Come lo erano i silenzi impenetrabili.
Il peggio era passato.
No, non è come le altre volte. Stavolta no. Il peggio è tutto qui. E qui è destinato a restare.
In questi lunghi dieci anni, anche più, quante cose abbiamo dato per scontate? Di quante ce ne siamo accorte solo noi?
Quanto buio in un solo, velocissimo gesto. Lucido? Libero? Quale condanna per noi che siamo rimasti a guardare.
E poi ci sono stati i giorni dell’attesa. Giorni in cui ci siamo aggrappati ad un’idea. La stessa che in passato ci aveva fatto poi scoppiare a ridere.
Un vuoto che ha percorso una vita intera. Un vuoto da riempire, fino a perdere il senso di quello che si sta cercando. Una vita che non è stata per niente, ma proprio per niente, clemente. Una vita che non ha voluto sorridergli. Anzi beffarda. Persino nell’ultima chance che gli si era aperta davanti. Così avara che al solo pensiero, ripercorrendo episodi, voci e confidenze, il dolore ti attraversa lo stomaco e si blocca in un nodo alla gola.
Una vita che, però, abbiamo provato a rendere meno vuota.
No, non è bastato.
Quanto spazio può prendere un’assenza? Tutto quello possibile.
Sarà in tutto quello che faremo, in tutte le mancanze, in tutti posti vuoti sui pullman, in tutti i movimenti sfuggenti, nei milioni di ricordi che ora affollano la nostra mente e i nostri cuori, negli attimi banali e ora tanto lontani e malinconici, in tutti i 3 gennaio in cui non ci sarà una torta da condividere, né un regalo da scartare. Nei sorrisi che proveremo ancora a regalare a chi ci segue.
Sarà nelle foto che non amava farsi scattare. Nelle giornate cupe, implacabili. Nella gioia di ritrovarsi negli occhi dei bambini e delle bambine. Sarà nelle risposte che cercheremo, quelle che solo lui poteva permettersi di dare. Vere, schiette. Senza mezzi termini, quando ci metteva in guardia contro qualcuno o qualcosa.
Nonostante tutto, ancora sarà.
Abbiamo avuto un grande onore, un grande privilegio. Ce lo teniamo stretto al cuore. Insieme a quelle parole in griko, snocciolate a memoria, una dietro l’altra, con sicurezza. A quei 60 anni che non festeggeremo, nonostante ci fossimo detti di sì. Sarebbe stato speciale, ci eravamo detti quella domenica di inizio anno.
Quel vedere oltre, vedere l’invisibile, come il nostro Piccolo Principe ci ha sempre insegnato a fare.
È un dolore nero nerissimo quello che stiamo vivendo. Quello che potrà diventare solo cicatrice, ma mai svanire. Quello che ora è diventato chiaro e limpido, portandosi dietro tutto l’atroce e l’indicibile. E che brucia perché ad un tratto è rimasto cristallizzato nel tempo, non è più modificabile in una qualche evoluzione positiva, nei giorni che verranno. In quello che i più ricorderanno. È definitivo, irreversibile, nonostante ora sapremmo cosa fare.
Ma è troppo tardi.
Ed è per questo che la rabbia si mischia al dolore. E per quanto voglia farci piacere pensare che ognuno è solo e artefice del proprio destino, questa è un’idea che fa bene alla mente, ma interferisce con il cuore.
Non ci sono parole per noi. Né lavaggi di coscienza.
C’erano solo altri passi da fare insieme. Che non siamo riusciti a fare.
Siamo attonite. In una nebbia che non si dirada. AdB ha un pezzo mancante, di quelli che non si possono sostituire.
È la notte più buia che abbiamo mai attraversato.
Tuglie, Marzo 2021
AdB
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