#86 LA PIAZZA DEI BOOLOVERS

#85 LA PIAZZA DEI BOOLOVERS

GOD SAVE THE QUEER

Michela Murgia

#84 LA PIAZZA DEI BOOKLOVERS

“Non doveva avere paura.

E dunque non ne avrebbe avuta neanche delle compagne che la canzonavano, che la chiamavano “la birraia” quasi fosse un insulto perché raccontava sempre della fabbrica, né delle suore che la sgridavano perché non riusciva a stare ferma tutte quelle ore nel banco della chiesa dopo le ore nel bando di scuola. Usa agli spazi ampi, Genia ogni qualvolta non ne poteva più correva. Correva per i larghi e lunghi corridoi del collegio, correva sulle scalinate che conducevano ai piani, correva in giardino di nascosto dalle suore, correva con la mente guardando fuori dalle finestre che davano su certe colline che sembravano nulla rispetto alle spaventose montagne piene di ghiaccio, pericoli e tragedie che tanto avevano marcato il suo sguardo.”

“Quando gli si avvicinò ebbe la chiara percezione che, nel frattempo, assieme al corpo se n’era andata anche la testa. Non sapeva chi lei fosse, non l’aveva riconosciuta: aveva avuto dieci figli, chissà quanti nipoti, ricordarsi che lei era Genai e non Maria, Paola o Anna era come pescare al primo colpo il jolly da un mazzo. Si guardò intorno per trovare il quado in cui sua madre era ritratta insieme ai nonni e ai suoi nove fratelli: quando ci avevano vissuto in dodici, più i camerieri, più la governante, quella casa non doveva essere sembrata tanto grande come adesso che i nonni erano rimasti da soli. Forse era stato tutto quello spazio a fa perdere la testa al nonno.”

“Mentre conversavano, Genia faticava ancora una volta a comprendere le ragioni di sua madre, che criticava Eva Sella e non capiva che stava facendo qualcosa anche per lei. Permettere alle donne di studiare non era che un modo per far sì che una vedova potesse parlare di birra senza bisogno di delegare, a malincuore, un fratello.”

Bear Krustowsky

#83 LA PIAZZA DEI BOOKLOVERS

Autore: Daniele Mencarelli
Editore: Mondadori
Pagine: 204
Anno di prima pubblicazione: 2020
Genere: Romanzo
Età lettura consigliata: 18+

#82 LA PIAZZA DEI BOOKLOVERS

IL LADRO GENTILUOMO

Alessia Gazzola

Autrice: Alessia Gazzola
Editore: TEA
Pagine: 304
Anno di prima pubblicazione: 2018, vincitore del premio Bancarella 2019
Genere: Giallo, rosa
Età lettura consigliata: 14+

#81 LA PIAZZA DEI BOOKLOVERS

C’È QUALCOSA DI PIÙ NOIOSO CHE ESSERE UNA PRINCIPESSA ROSA?

 Raquel Díaz Reguera

#80 LA PIAZZA DEI BOOKLOVERS

A LUIGI ‘GIGI’ SCORRANO

CUTROFIANO, Biblioteca Comunale, 9 ottobre 2010
Incontro-conversazione con Nicola LagioiaLuigi Scorrano per la rassegna Ottobre, piovono libri 

UNA VITA

Prendiamo in prestito il ritratto, onesto e articolato, che del Professore Luigi Scorrano fa Antonio Montefusco, Professore associato di Filologia e Letteratura Italiana all’Università Ca’ Foscari di Venezia, sul “Nuovo Quotidiano di Puglia” del 29 settembre 2023:

Per lunghi anni professore di Italiano nelle scuole secondarie superiori, in particolare a Casarano (la città gli ha concesso la cittadinanza onoraria nel 2015), Luigi Scorrano è riuscito a tenere assieme, in una maniera che forse oggi non è più pensabile, impegno politico e sociale, slancio per l’insegnamento e un’attività di studio e di scrittura impressionanti. Una biografia del Novecento, secolo tanto vituperato ma tempo in cui la cultura e lo studio potevano essere lo strumento di un’ascesa sociale felice. Gigi – come lo chiamavano tutti – veniva da una famiglia numerosa e non attrezzata economicamente, e fece studî irregolari. «Ho la laurea, ma non sono diplomato!», scherzava, ricordando il suo titolo professionale elettrotecnico, che non gli impedì la bruciante passione, prima nascosta, poi sempre più “pensiero dominante” (come direbbe Leopardi) per la lettura e per il teatro, che lo portò a studiare prima a Milano poi a Lecce, con uno dei più grandi nomi degli studi danteschi pugliesi e internazionali, Aldo Vallone. Gli anni di Milano non vennero dimenticati: erano quelli delle rappresentazioni teatrali perturbanti di Giovanni Testori, cattolico tormentato che metteva in scena la crudeltà del potere, la forza degli ultimi e la loro capacità di redenzione. A Testori Scorrano ha dedicato pagine di rarissima penetrazione e intensità, che ne specchiavano in modo complesso la tensione religiosa e l’aspirazione di cambiamento in nome dei più deboli.

Ma la continuativa attività di ricercatore di Gigi ha esplorato gran parte della letteratura di quel secolo difficile, dallo scomodissimo D’Annunzio (anche lui smontato nella sua magniloquenza) al romanzo e alla poesia contemporanei; un libro celeberrimo e utilizzatissimo – quasi saccheggiato dagli studiosi per la quantità di informazioni e intuizioni – è Presenza verbale di Dante nella letteratura del Novecento, del 1994: lo sguardo nei confronti di molti autori più vicini a noi, grazie a quel lavoro, è cambiato. Gigi praticava, di nuovo, una garbata provocazione intellettuale: la letteratura, all’epoca, si pretendeva “novissima”, quasi senza padri; non era vero per niente: la “tradizione” (e il padre di quella tradizione), ne costituiva l’alfabeto profondo, aiutava a svelarne il senso. Quel volume univa le due passioni di Scorrano: la scrittura dell’oggi e l’opera di Dante, a cui dedicò, assieme al suo maestro Vallone, un fortunatissimo commento, uno dei più diffusi nei licei. Scorrano viene da quella sotterranea corrente di intellettuali totali, scrittori ed educatori, capaci di spremere la cultura e la letteratura in tutte le sue forme, per farne un potentissimo strumento di cambiamento sociale.

Questo posto di prima importanza nella comunità internazionale degli studiosi di letteratura Gigi lo ha voluto praticare, per scelta e con estrema libertà, fuori dall’Accademia e a contatto con gli studenti, a cui ha dedicato non solo un impegno didattico fuori dal comune, ma anche una ricca produzione di invenzioni teatrali (spesso riduzioni di classici), oggi inedite: meriterebbero un’edizione sorvegliata, che le metta a disposizione dei lettori ed eventualmente di nuovi attori. A Tuglie, Scorrano è stata una figura politica di riferimento nel quadro della sinistra socialista; in un paese storicamente egemonizzato dal centro democristiano, in una breve stagione di centro-sinistra, Gigi fu un indimenticabile assessore alla cultura, capace di fare di questo centro un po’ esterno ai circuiti turistici un luogo di sperimentazione artistica e di incontro culturale di altissimo livello: memorabili le mostre come quella sulla Grande guerra dove uno storico come Mario Isnenghi tenne una lezione di fronte a una folla numerosissima. Con questo bagaglio, coinvolge gli amici di sempre nel Gruppo “Incontri” che nasce alla metà degli anni Ottanta, e ancora in epoca recente, Gigi è stato candidato sindaco di una lista civica, l’unico capace di riunire la lacerata sinistra tugliese e di contendere la vittoria (sfiorata per pochi voti) alla maggioranza.

Nel 2022, l’editore Musicaos di Neviano ha riunito assieme la ricca, e originalissima, opera poetica di Scorrano. 

Alcune copertine della produzione letteraria e critica di Luigi Scorrano

CONSIGLI DI LETTURA

Documentare il vastissimo lavoro di scrittura di Luigi Scorrano non è compito semplice. E da parte nostra, ogni tentativo in tal senso si tradurrebbe in un misero e banale peccato di presunzione. Sentiamo, però, da lettrici e lettori, prima ancora che da profondi estimatori di Gigi che abbiamo avuto l’onore di conoscere personalmente e molto da vicino, di frequentare, di apprezzare tanto da attento studioso quanto da organizzatore di iniziative culturali congiunte, il dovere e il piacere di consigliare la lettura dei suoi scritti.

A ragione scrive di lui Antonio Errico:

Scorrano ha utilizzato magistralmente una pluralità di registri critici, a seconda delle finalità della scrittura: una scrittura che ha sempre dimostrato, anche nei lavori di natura propriamente “scientifica”, un’attenzione nei confronti di quel lettore che si dice “non addetto ai lavori”. Gigi Scorrano ha sempre considerato la critica come un ponte, una mediazione, fra il lettore di professione e il lettore comune. D’altra parte gli è sempre piaciuto definirsi semplicemente “un lettore”.

Un lettore molto esperto e appassionato che è presto diventato studioso e critico letterario. Errico, nel ricordarlo, aggiunge:

Ha fatto il critico letterario in modo coerente alla sua esistenza: con umiltà, spesso in disparte, sempre distante da ogni consorteria.

Ed è proprio così. Di Luigi Scorrano resta in eredità una produzione letteraria vastissima.

Scorrano, come già sottolineato, è stato uno dei dantisti più attenti e profondi, ha dato avvio agli studi scientifici sulla presenza di Dante nel Novecento e ha commentato, con Aldo Vallone, una delle edizioni più fortunate della Commedia. La lettrice e il lettore che prova attrazione per il dibattito scientifico e saggistico avrà, perciò, piacere di leggere gli studi danteschi di Scorrano che come sottolinea Antonio Montefusco cominciano “in maniera retrospettiva: non dal testo medievale, ma da quello contemporaneo, novecentesco. Scorrano è parte di quegli intellettuali e studiosi che a malavoglia si impicciano di approcci teorici e storia della critica: per Scorrano l’elemento principe è il testo, la letteratura”. Dal noto e citatissimo saggio Il Dante “fascista” alle altre pubblicazioni ‘dantesche’, la pagina non lascia mai indifferenti grazie ad uno stile garbato, ma abilmente ironico e provocatorio.

Chi ama la poesia troverà di una bellezza cristallina l’opera poetica e narrativa, ritroverà le sue umane passioni e debolezze, e farà l’incontro con Elena, “cuore e mente pazienti e affettuosi”, a cui dedica nel 2015 la raccolta di poesie Azzurro Elena, “queste pagine sue”.

In ogni caso il gusto per le parole e per la narrazione torneranno sempre a ricordare ai lettori e alle lettrici la bellezza di scrivere e di leggere, di usare la lingua e le parole con rispetto e consapevolezza. Nel 2017 per la serie di racconti intitolata Con un piede nel nulla e altre narrazioni Scorrano scrive:

Che cosa turba, a volte profondamente, la vita degli uomini? Che cosa la conforta o la rassicura? Due domande che sembrano non offrire risposte certe o qualche illusoria consolazione. C’è una risposta? Forse giova narrare, narrarsi.

La voglia e la passione per la condivisione della scrittura lo porterà ad affermare l’anno successivo per  Un dono e altre narrazioni:

Narrare è impegno ed è piacere. Il racconto può essere un accogliente angolo in cui rifugiarsi. Per consentire alla mente di aprire inedite finestrine sul mondo.

Sulla scia di questo racconto intimo delle cose e delle vicende quotidiane abbiamo voluto scegliere alcuni passi dal “quaderno” dedicato al suo paese, Tuglie, a cui Scorrano ha fatto sempre ritorno e da cui non si è mai separato. Per raccontar paese vede la luce per festeggiare l’anno 2000, “anno posto tra un vecchio e un nuovo secolo, tra un vecchio e un nuovo millennio”. E sfidiamo chiunque a non ritrovare, tugliese e non, in queste parole qualcosa di sé e di quel sentimento per il proprio paese o il proprio quartiere di nascita.

Grazie, Gigi, siamo tuttə un po’ più soli adesso.

Cercheremo rifugio e consolazione tra le tue parole, quelle stesse che in Con un piede nel nulla ti domandi se siano in pericolo. Le parole che tornano a essere – ci raccomandi – “non solo parte viva del nostro immaginario ma fattive collaboratrici della nostra fondamentale realtà”.

CITAZIONI

Da Per raccontar paese, 2000.

Un paese, come ogni altro luogo, vive i suoi giorni attraverso i giorni che le persone vivono. Raccontar paese è anche raccontare – per frammenti – i giorni della quotidianità. Ci sono momenti, in quei giorni, dedicati ad occupazioni piacevoli: l’incontro gli amici, le feste patronali fatte di movimento, di allegria, di confusione. Ci sono i giorni in cui le processioni mescolano devozione e spettacolo nella vita popolare. Ci sono i giorni del lavoro: si demolisce, si modifica, si ricostruisce.

«Un paese vuol dire non essere soli…». In paese si vive (o si viveva) quasi esclusivamente in pubblico. Il privato, quando non si lasciava osservare apertamente, era facile vederlo filtrare da esibiti umori e malumori, prese di posizione, mugugni. La riservatezza eccessiva poteva assumere quasi colore di colpevolezza.

La notte del 4 novembre 1918, all’una di notte, nel silenzio del paese addormentato le campane suonarono a lungo per annunciare l’armistizio. La gente corse in chiesa: le donne i cui mariti o i cui figli erano sopravvissuti, per ringraziare; quelle i cui mariti o i cui figli non sarebbero tornati, per piangere i propri morti. Il pianto, gioia o dolore che lo provocasse, univa tutti. Poi la gente tornò a casa. Ognuno rientrò tra le proprie pareti. Forse guardò con altri occhi le cose note, consuete; e gli parvero diverse.

A Gigi

l’Associazione Culturale “Amici della Biblioteca”

#79 LA PIAZZA DEI BOOKLOVERS

CODICE MILLENARIUS SAGA

“Il mistero serve all’uomo a superare le proprie aspettative”


#78 LA PIAZZA DEI BOOKLOVERS

#77 LA PIAZZA DEI BOOKLOVERS

La terra del rimorso

ERNESTO DE MARTINO

Contributo a una storia religiosa del Sud

TRAMA

La Terra del rimorso di Ernesto De Martino, un classico del pensiero contemporaneo, verte sul tarantismo, un istituto culturale d’impronta magica, diffuso nelle comunità contadine del Salento, al cui interno la musica e la danza ricoprono un ruolo d’importanza primaria. Nel 1959 De Martino ne fece l’oggetto di un’innovativa inchiesta etnografica, guidando un’équipe formata da specialisti di discipline diverse, dalla storia delle religioni all’etnomusicologia, dalla psichiatria alla sociologia. Lungi dall’essere un mero fenomeno morboso, il tarantismo si configura, nella straordinaria indagine demartiniana, come un orizzonte mitico-rituale di deflusso di profondi conflitti operanti nell’inconscio, fatti risalire al morso della Taranta, monstrum mitico evocato dal suono di musiche del repertorio tradizionale, che i tarantati dovevano sfidare e vincere in una vorticosa gara di danza.

Questa nuova edizione conferisce il massimo risalto alla ricchezza teorica di un’opera che va ben oltre l’indagine di un peculiare fenomeno di catartica musicale, mobilitando le due competenze disciplinari, storico-religiosa e antropologica, che hanno innervato il pensiero di De Martino. Marcello Massenzio individua la tematica etico-politica alla base della scelta di studiare il tarantismo, in un confronto con l’altro grande etnologo dei suoi tempi, Claude Lévi-Strauss e il suo disagio o «rimorso» di fronte alla disgregazione delle culture indigene nel mondo postcoloniale. Fabio Dei analizza l’altro dialogo cruciale nella genesi dell’opera, quello tra De Martino e Antonio Gramsci, riconducendo il progetto delle spedizioni etnografiche nel Mezzogiorno all’influenza delle annotazioni gramsciane sul folklore come cultura delle classi subalterne. Con il prezioso dossier fotografico di Franco Pinna.

RECENSIONE

Marcello Massenzio cura una nuova raffinata edizione critica per Einaudi del saggio di Ernesto De Martino, considerato un classico e pubblicato inizialmente nel 1961. Un lavoro potente e metodologicamente impeccabile che spinge il lettore o la lettrice a rimescolare le carte, a guardare da una nuova prospettiva, finalmente etnografica, la civiltà e gli esclusi, i non completamente ordinari, i selvaggi, gli incolti, gli ingenui seguaci di ogni credenza popolare e di ogni stregoneria. Come sottolineato da Fabio Dei, che cura l’Introduzione al volume, il peso del contesto socio-politico è essenziale per capire anche gli effetti suscitati, a suo tempo, dalla pubblicazione de La terra del rimorso, che scaturì evidentemente dalle annotazioni gramsciane sul folklore inteso come cultura popolare. Ma a distanza di tanti anni cosa resta di quell’acceso dibattito? Cosa dice oggi La terra del rimorso? Di quale reale morso e rimorso si tratta?

Oltre al valore scientifico, che emerge in tutta la sua nettezza, il lavoro di De Martino resta una lettura affascinante e irresistibile per qualsiasi lettore o lettrice. De Martino, che aveva già viaggiato e studiato molto il meridione, sa benissimo che sui tarantati (o meglio sulle tarantate) e sui loro riti misterici già da tempo numerose stratificazioni religiose e culturali si erano sovrapposte al fenomeno realmente osservabile. De Martino e la sua équipe non si limitano a osservare e fotografare le rappresentazioni “ufficiali” rintracciabili nel cuore del Salento e in particolare a Galatina, ma seguono le tarantate nelle loro abitazioni, le ascoltano con orecchie da ricercatori, ricostruiscono una sorta di albero genealogico di quella che qualcuno potrebbe definire una patologia. Un rito così antico, originato chissà in quale punto del medioevo, cosa significava esattamente? Questo uno degli interrogativi a cui il libro cerca di dare una risposta. Tra una fitta rete di simbolismi, paralleli etnologici e folklorici, e prospettive neuropsichiatriche e storicistiche, le pagine si susseguono intervallate da reperti fotografici autentici, su cui però si staglia senza sosta anche un’immagine della terra del ri-morso in cui magia, ignoto, segreti inconfessabili, misticismo e irrazionalità, tutti elementi che alla scienza sfuggono, si fondono nel fluire incessante di vite misere forse sì, ma pur sempre cariche di profondo travaglio e desiderio atavico di riscatto.

Autore: Ernesto De Martino Curatore: Marcello Massenzio
Editore: Einaudi
Pagine: 464
Anno di prima pubblicazione: 2023 (1961)
Genere: Saggio
Età lettura consigliata: 18+

CITAZIONI

“La tarantata, una giovane sposa di 29 anni, ripeteva regolarmente un ciclo coreutico definito, articolato in una parte a terra e in una parte in piedi, e terminante sempre con una caduta al suolo che segnava un breve intervallo di riposo. A partire da questo intervallo, durante il quale l’orchestrina taceva, le figure si svolgevano nel seguente modo. L’orchestrina attaccava la tarantella, e la tarantata che giaceva supina al suolo, cominciava subito a consentire ai suoni muovendo a tempo la testa a destra e a sinistra”.

“Nella crisi del tarantismo il rimorso non sta nel ricordo di un cattivo passato, ma nella impossibilità di ricordarlo per deciderlo e nella servitù di doverlo subire mascherato in una nevrosi: e proprio per questo rischioso vuoto della memoria e per il conseguente carattere di ‘estraneità’ che il sintomo mascherato assume per la coscienza, il simbolo del tarantismo configura come ‘primo morso’ ciò che in realtà è ‘ri-morso’ di un episodio critico del passato, di un conflitto rimasto senza scelta.”

“Ad agevolare tale esperienza potentemente concorse […] il senso di ‘confine’ o di ultima Thule che imprime nell’animo del visitatore la terra salentina con le sue memorie, ultimo lembo d’Italia che corre verso le asprezze del Capo di Santa Maria di Leuca, vero il Santuario nel quale si raccoglievano i crociati in preghiera o riparava la folla allo sbarco dei saraceni. […] Ma il senso di confine e del limite rigermina anche in altro senso, e cioè quando ogni estate, all’approssimarsi della festa dei SS. Pietro e Paolo, serpeggia nella penisola un’oscura tentazione al disordine e al caos e ancora si fa valere un ricorso a un ordine mitico-rituale che si richiama a un mondo culturale impartecipe dell’ordine cristiano e resistente a esso.”